IL RAGAZZO RAPITO di ROBERT LUIS STEVENSON

IL RAGAZZO RAPITO“Tusitala” (Narratore di storie) lo chiamavano gli indigeni delle Samoa, dove si era stabilito con la moglie Fanny nel 1889, in una sorta di volontario esilio, e dove morì nel 1894. E che tale sia non c’è dubbio. Basta a dimostrarlo un attacco come questo: “Un mattino di giugno, l’anno di grazia 1751, di buon’ora, trassi, per l’ultima volta, la chiave dalla porta della casa paterna, e da quel momento ebbero inizio le mie avventure.” In poche parole e con un solo gesto si apre un mondo, il lettore è già irretito nella tela del ragno, sente che anche per lui sta cominciando un’avventura: sa che vivrà delle peripezie ma nello stesso tempo pregusta il piacere della lettura e il conforto dell’incolumità. Parlo di R.L. Stevenson, nato a Edimburgo nel 1850, e del suo romanzo Il ragazzo rapito (1886). Meno noto dell’Isola del tesoro (1883) o dello Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (1886) o del Master di Ballantrae (1889), per citare solo alcuni dei suoi capolavori, Il ragazzo rapito è considerato dall’autore stesso, ma anche da uno scrittore come Henry James, la sua migliore opera narrativa. È un romanzo di formazione, come L’isola del tesoro, e come questo sciaguratamente circoscritto alla categoria “narrativa per ragazzi”. Lo è, e infatti uscì a puntate su “Young Folks”, la rivista che aveva già pubblicato con grande successo L’isola: Stevenson rifiutava la società industriale però sapeva amministrarsi nel nascente mercato di massa. Ma mica tutti i romanzi di formazione debbono essere articolati e complessi come il Meister goethiano, possono essere anche come l’Huckleberry Finn di Twain del 1884, da Stevenson molto amato, o come una storia di Hugo Pratt (che infatti tanto ammirava Tusitala da andare in pellegrinaggio alla sua tomba sul monte Vaea, nell’isola di Upolu, vicino alla Nuova Zelanda).

Qui l’orfano adolescente David Balfour si scontra con un vecchio zio, avido e vile come i “cattivi” di Dickens, che dopo averlo defraudato dell’eredità tenta prima di farlo morire poi di venderlo come schiavo imbarcandolo a tradimento su un brigantino diretto alle Caroline. La nave, dopo varie vicende, naufraga sulle scogliere della Scozia settentrionale: David sopravvive e insieme con l’amico più anziano Alan Breck, ribelle Highlander scozzese, quindi giacobita, cattolico e filo Stuart, si troverà coinvolto, lui Lowlander, Whig e presbiteriano fedele a re Giorgio, nelle lotte fra inglesi e scozzesi e in quelle intestine fra le fazioni e i clan delle contrade settentrionali. Tutta la seconda parte del libro è una fuga dei due, ritenuti responsabili di un attentato, che sgusciano fra i soldati inglesi alla loro caccia.

C’è la storia, vera, tragica, con spargimento di sangue fratricida (la battaglia di Culloden è di pochi anni anteriore alle vicende narrate), con oppressioni e rivolte, esili e pene capitali, e insieme c’è il romanzesco, con pirati, duelli, attentati, fughe e inseguimenti. Soprattutto c’è il fiabesco paesaggio scozzese delle Highlands, con le sue rocce, fiordi, brughiere e colline coperte di erica a vista d’occhio: scenario drammatico o accogliente, a seconda dello stato d’animo dei protagonisti e delle vicende umane che vi si intrecciano. E la gente del Nord, rude e ospitale, ribelle e vessata, fiera e un po’ barbarica, come in una regia shakespeariana di Nekrosius. Nelle traversie e nella fuga David apprende resistenza e disciplina, accortezza e pazienza, diventa uomo.

E sotto il Bildungsroman, sotto il romanzo di formazione con cui la borghesia si creava i suoi codici di comportamento, si dipana il tema fondamentale di Stevenson, il conflitto drammatico di quasi tutte le sue opere che ambivano a raccontare, parole sue, “la storia di un uomo che sia due uomini”. Esplicitamente nel Dottor Jekyll e Mister Hyde, più indirettamente altrove (i fratelli nel Master di Ballantrae, Jim e John Silver nell’Isola del tesoro, qui David e Alan) sempre nella narrativa di Stevenson c’è un rapporto conflittuale e insieme complice fra due personalità. Come nella tragedia antica la consapevolezza, ma anche l’amore, possono nascere solo dal dolore della divisione, dallo scontro risolutivo degli opposti. Forse per questo è così vivo in Tusitala il gusto del racconto, che interpreta le nostre esistenze accompagnandoci come una melodia: “E lungo il cammino, quel sottile fischio ci seguiva, compagno fedele tra i monti oscuri e selvaggi.”

Il ragazzo rapito ha anche un seguito, altrettanto avvincente e con in più un’incantevole figura femminile: Catriona (1893). Pubblicato nella vecchia BUR rizzoliana, quella grigiolina, non risulta più in commercio da anni. Amnesie editoriali.

In due parole: da solo, vale dieci thriller nordici, è più breve e costa meno.

Scheda di GIANANDREA PICCIOLI

ROBERT LOUIS STEVENSON
IL RAGAZZO RAPITO

Traduzione di Alberto Mario Ciriello
Editore: GarzantiAGGIUNGI AL CARRELLO
Numero di pagine: 266
Prezzo: € 9,50
NICEPRICE € 8,55 – SCONTO -10%


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